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Moralia Blog

Tutto gratis? La giustizia nel mondo digitale

Avvento e Tempo di Natale portano mente e cuore al Dono per eccellenza, il Salvatore del mondo, e ai doni che ci scambiamo come segno di amore e di riconoscenza per l’esistenza l’uno dell’altro. Come sottolineato dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa (n. 20), Dio si fa prossimità gratuita, dandoci così la misura delle nostre relazioni.

La gratuità è dunque bene fondamentale e valore del vivere sociale, ma rischia di essere stravolta nella rivoluzione digitale, divenendo addirittura strumento d’ingiustizia.

Gratuità in Rete?

Buona parte dei servizi che noi tutti usiamo sono gratuiti o apparentemente tali: dalla casella di posta ai social media, dalle piattaforme per la condivisione di file molto grandi a quelle con cui condividere video e immagini. Servizi apparentemente gratuiti perché, come ormai abbiamo imparato a capire, profilano il nostro comportamento in rete monetizzandolo nelle campagne promozionali che sempre di più intercettano i nostri gusti e bisogni.

Questa gratuità perenne, a cui volentieri ci adeguiamo perdendo parte della nostra privacy, comporta conseguenze non direttamente volute o cercate, ma significative rispetto al tema della giustizia e di una cultura di giustizia. Tanto il lato anarchico della Rete, quello dei primordi, quanto quello più ordinato delle grandi imprese che oggi gestiscono ciò che è on-line, hanno spinto molto sul tema della gratuità, del free.

Soprattutto le reti e piattaforme di file sharing da quando sono divenute un fenomeno di massa con la diffusione della banda larga e programmi appositi come Napster, ci hanno educato a un concetto tanto semplice quanto affascinante: tutto ciò che è on-line di fatto è gratuito o dovrebbe esserlo. Di qui è nata una battaglia mai conclusa per la difesa del copyright, il cui ultimo capitolo in Europa è la direttiva approvata lo scorso settembre.

Il copyright, com’è noto, ha due profili: quello patrimoniale (cedibile), che concerne lo sfruttamento economico, e quello morale (inalienabile), che è il diritto di essere riconosciuto autore di una determinata opera.

Nell’infosfera la prassi ha di fatto cancellato ambedue, creando un vulnus di ingiustizia sempre più significativo. Non solo infatti il lavoro di chi produce contenuti non è riconosciuto in termini economici, ma neppure è riconosciuto e riconoscibile il tratto squisitamente umano dell’essere creatori di una determinata opera. Il digitale rischia così di tradire tanto Cesare quanto Dio.

Per un nuovo corso

È opportuno ripartire dalla dimensione morale per un nuovo corso, sia attraverso un tracciamento digitale dell’opera, una firma che non possa essere cancellata, sia attraverso una rimodulazione delle abitudini in rete. Si tratterebbe di introdurre forme di micro pagamenti e transazioni comunque di valore, senza che vi siano necessariamente trasferimenti di denaro, che restituiscano però dignità al lavoro e maggiori certezze per chi mette a disposizione di tutti la propria creazione dell’ingegno.

La tecnologia perché questo avvenga è già disponibile, si tratta di creare una diversa consapevolezza nella società che spiga ad applicarla: se l’infosfera è un bene di tutti, come lo è l’ambiente, questo non autorizza nessuno ad appropriarsi di qualche cosa senza il consenso di chi ne è titolare.

La maggiore criticità è rappresentata dal fatto che i grandi gruppi che gestiscono la Rete non hanno particolare interesse affinché questo avvenga. Semplicisticamente potremmo dire che più materiale è condivisibile sulla Rete, più essa fa viaggiare i nostri dati e meglio i sistemi di profilazione funzionano.

Tuttavia è necessario ritrovare la sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà per riequilibrare i rapporti economici (Compendio, nn. 351-353), che non possono restare a lungo in tale situazione. Dovremmo pagare quanto è giusto per poter vivere in un mondo digitale in cui la giustizia abbia ancora un valore.

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