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Moralia Dialoghi

Con il senso della realtà. Uno sguardo (dal basso) alla vocazione delle donne

Partendo dallo stimolo a demitizzare la vocazione e a renderla «cosa» di uomini e donne, vorrei provare ad affrontare il nodo del discernimento vocazionale dei giovani, e in particolare delle giovani donne.

In un famosissimo saggio del 1919 Max Weber, padre della sociologia moderna, parla di «Politik als Beruf» e descrive qualità e criteri del vero uomo politico: il titolo del saggio viene tradotto abitualmente La politica come professione, ma potrebbe essere reso altrettanto correttamente con «La politica come vocazione», dato il doppio significato della parola tedesca Beruf.

È interessante questa sovrapposizione di significati, per due ragioni fondamentali: da un lato aiuta a demitizzare la vocazione e a renderla «cosa» di uomini e donne, dall’altro restituisce alla professione la propria statura di «chiamata» ad agire nel mondo. Con questo stimolo a premessa, vorrei provare ad affrontare il nodo del discernimento vocazionale dei giovani, e in particolare delle giovani donne.

Nel Documento preparatorio al Sinodo sui giovani, la vocazione viene definita «la forma concreta di quella gioia a cui Dio lo chiama e a cui il suo desiderio tende»: racconta dunque una dinamica relazionale nella quale la volontà di Dio e il desiderio del singolo si ricercano, s’incontrano, s’uniscono per giungere alla realizzazione di una vita piena, donata e gioiosa.

Il protagonista nascosto: la realtà

C’è però – in questa definizione – un terzo protagonista accanto a Dio e alla persona in discernimento, un protagonista ingombrante, ma che in molti casi resta nascosto per la prima parte del percorso.

Questo protagonista è la realtà, la «forma concreta», ovvero le possibilità che la persona esercita perché vive in un certo luogo, un certo tempo, a condizioni date.

Il discernimento è proprio questo ballo a tre e, in questo senso, è molto simile a quello che nell’ambito formativo si chiama orientamento (e qui ritorna la vicinanza di professione e vocazione), nel quale oltre a passioni e talenti vanno tenute presenti le «condizioni del mercato del lavoro» in un dato luogo e tempo.

Le giovani donne e i giovani uomini che raggiungono l’età delle scelte si trovano quindi a doversi confrontare non solo con le proprie aspirazioni, ma anche con le concrete opportunità che hanno, fermo restando che «la gioia a cui Dio chiama» è gioia piena per tutti i suoi figli, una gioia senza gerarchie e senza livelli di eccellenza diversi.

La vocazione delle donne: un percorso a ostacoli

Provando allora a guardare al discernimento vocazionale come a un orientamento condotto sul livello degli stati di vita anziché su quello professionale, sottraendolo quindi momentaneamente al dato spirituale che pure ne è il fondamento (ma che altri sapranno meglio affrontare), immaginiamo un giovane uomo e una giovane donna che s’interrogano sul proprio futuro.

Quali differenze? La prima è facilmente identificabile: la figura che accompagna il discernimento è ancora per entrambi, nella stragrande maggioranza dei casi, un uomo e questo ha ricadute diverse se il giovane è un maschio o una femmina.

La seconda differenza è che le strade disponibili sono diverse, e non soltanto perché le donne non possono accedere al ministero ordinato, ma anche per la diversa organizzazione e disciplina interna – ad esempio – delle congregazioni religiose femminili e maschili, per il diverso ruolo all’interno della famiglia, in particolare per come questa continua a essere presentata nei nostri contesti cattolici.

Riguardo al primo punto riprendo uno stimolo portato da Rita Torti su Presbyteri n. 9 del 2015, quando dice:

«Il rapporto con il parroco, con l’assistente dell’associazione, con il prete-educatore, con la guida spirituale nasce felice... Nel prete si trovava un interlocutore significativo con cui parlare, confidarsi, da cui farsi accompagnare, a cui chiedere consiglio e che apprezzava e incoraggiava il tuo impegno nella comunità… Ma se per i ragazzi il passare del tempo ha significato un’evoluzione del rapporto nella continuità, per noi è stato piuttosto un graduale distacco, non voluto e doloroso, a cui si è cercato di porre rimedio, ma raramente con risultati apprezzabili. Non viene meno l’affetto, ma si sente che a un certo punto la maschilità del prete diventa un ostacolo; non perché lo sia in sé, ma perché tende a porsi come legge e criterio interpretativo anche rispetto a ciò che non può sperimentare, cioè l’essere donna».

Non so se questa sia ancora l’esperienza delle più giovani, ma ho timore che per le (ormai poche) ragazze credenti e attive nelle comunità le cose non siano molto cambiate.

Finché si è molto giovani difficilmente la questione femminile emerge, i cammini sono comuni, il rapporto di accompagnamento col sacerdote è lo stesso, ma crescendo si scopre il diverso trattamento che – nel periodo delle grandi scelte – si vive tra maschi e femmine.

In qualche modo si sperimenta una lettura maschile sul modo in cui si dovrebbe essere come donne, proprio quando questa identità si sta formando, e davanti a questa parola maschile sul nostro femminile o ci si sottomette, rinunciando alla propria assertività, oppure la si rifiuta correndo il rischio dell’allontanamento.

C’è poi il diverso valore attribuito alle vocazioni, ad esempio religiose, maschili e femminili nei contesti misti, come le parrocchie e i movimenti (diversi sono i gruppi esclusivamente femminili spesso seguiti da suore). Non si tratta qui ovviamente di rivendicare, ma di guardare alla realtà: il valore attribuito alla presenza di un «potenziale sacerdote» tra i ragazzi di un qualsivoglia gruppo giovanile è sufficiente a mettere in ombra qualsiasi altra vocazione. In questo senso è evidente che si tratti di un problema che tocca un po’ tutto il laicato, eppure – in quanto donne – la struttura clericale ci allontana due volte: come laiche e come donne.

Diseguaglianza delle opportunità

Secondo punto: le opportunità vocazionali concrete date a donne e uomini sono diverse e non possono tutte essere ricondotte alle differenze naturali.

Pensiamo solo alla vita religiosa maschile e a quella femminile. Laddove le donne hanno provato a costruire comunità più autonome, superando lo schema della religiosa che serve senza essere vista (ricordiamo qui l’importante reportage sul lavoro gratuito delle suore apparso sul numero di marzo 2018 di «Donne, Chiesa, Mondo» de L’Osservatore romano), le religiose sono state messe sotto tutela.

E non mi riferisco solo ai casi estremi come il commissariamento della Leadership Conference of Women Religious negli Stati Uniti, ma anche ai tanti, troppi documenti vaticani che si sono premurati di entrare nel merito della vita delle suore in un modo mai visto per i religiosi maschi (da ultimo il documento Cor orans). Contemporaneamente non si può tacere una certa impostazione tradizionalistica dei ruoli maschili e femminili, nel modo in cui viene presentato il matrimonio cristiano e in cui si preparano i giovani in discernimento vocazionale, orientati a questo stato di vita.

Quando si parla di vocazione delle donne occorre quindi tenere presente anche questo aspetto di diseguaglianza delle opportunità, che se al di fuori della Chiesa è stato almeno in parte superato, all’interno ancora persiste. Un percorso di accompagnamento vocazionale dovrebbe svelare queste incongruenze profonde e contrarie al Vangelo di Gesù e incoraggiare la presa di coscienza e l’assertività delle donne che – uniche – possono riformare la vita religiosa femminile e insieme agli uomini, alla pari, le dinamiche familiari.

Parlare di vocazione ai giovani di oggi, ritengo, richiede una radicale aderenza alla realtà, così come una profonda fiducia nella capacità dei giovani di trasformarla questa realtà. Come Gesù chiamava a cose concrete, lasciare le reti, vendere ciò che si ha e tutto per stare con lui, così oggi chiama nella concretezza della vita e in questa affida alla donna e all’uomo l’opportunità di farsi coautori del Regno.

È il «per sempre» a dare valore a una scelta?

Un ultimo appunto riguarda il tema della definitività delle scelte. C’è sempre, quando si parla di vocazione, un accento posto sul fatto che la vocazione sia una scelta da compiere per la vita, certamente da rinnovare ogni giorno, ma comunque che la scelta sia una e che sia per sempre.

Ebbene mi domando se non sia venuto il momento di dare valore anche alle scelte non definitive: a quei tempi della vita che – sebbene non stabili – sono tempi non solo di apprendimento, ma di dono pieno e di vera vocazione, se per vocazione intendiamo la chiamata alla gioia di camminare con il Signore.

È così che l’aver avuto più fidanzati può acquistare senso e valore, perché con ognuno c’è stato un amore pieno, per le possibilità date in quel tempo (in quell’età, in quella condizione).

Così anche il fatto che una persona abbia dedicato ad esempio alcuni anni alla vita religiosa e poi abbia lasciato per orientarsi ad altro non dovrebbe configurarsi come «errore di percorso» o peggio «infedeltà», ma dovrebbe essere riconosciuto per il valore che ha.

Attribuire valore solo a ciò che dura tutta la vita è contrario all’esperienza umana, la depaupera irrimediabilmente e rischia di prestarsi a un travisamento di non poco conto, identificando il messaggio cristiano con la fissità, l’inamovibilità.

Maria Cristina Bartolomei, in un articolo apparso su Servitium (n. 164, marzo-aprile 2006) dice:

 «Ecco, questa è una visione “doverista” (che psicanaliticamente si direbbe superegoica), e anche una visione in fondo conservatrice, che travisa dati centrali dell’annuncio cristiano. In tale annuncio, per sempre e da sempre è l’amore di Dio. Solo l’amore di Dio. Tutto il resto muta, muta sempre, per adeguarsi al rinnovarsi di tale amore, nell’inventare e reinventare sempre nuove forme per incontrare gli esseri umani, la loro vita e storia».

Allora in questa prospettiva di apertura alla novità dello Spirito e al rinnovamento dell’amore di Dio, perché non dare valore anche alle scelte temporanee, ai percorsi non lineari, alle vite che più che autostrade sono sentieri di montagna, con andate, ritorni, salite e discese, ma anche con paesaggi inediti e irripetibili?

Il pensiero delle donne anche sulla vocazione potrebbe portare novità e inediti interessanti.

Commenti

  • 05/11/2018 alicecareri@yahoo.it

    Bellissima riflessione, mi ritrovo molto con l’appunto alla “mascolinità sacerdotale” che esce fuori durante il percorso vocazionale.

  • 11/10/2018 cavallaripaola1@gmail.com

    Mi trovo molto d'accordo... occorre differenziare tra maschi e femmine, perchè il guadagno sarà enorme. Grazie del testo. Paola Cavallari

  • 02/10/2018 giuerosario@gmail.com

    Bellissimo, grazie. Rosario G

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