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Contro la violenza giovanile: AAA. Educatori adulti cercasi

Si può parlare di bullismo quando la vittima è esposta volontariamente, ripetutamente e per lungo tempo a prepotenze e azioni ostili da parte dei coetanei, in una situazione di squilibrio di forze, in una relazione in cui chi è preso di mira evidenzia difficoltà a reagire e a difendersi. Un problema che chiama in causa lo stile relazionale e culturale di noi adulti. Che cosa fare?

Si può parlare di bullismo quando la vittima è esposta volontariamente (intenzionalità) ripetutamente e per lungo tempo (persistenza) a prepotenze e azioni ostili da parte dei coetanei, in una situazione di squilibrio di forze (asimmetria), ossia in una relazione nella quale il soggetto preso di mira evidenzia difficoltà a reagire e a difendersi.

Una cultura de-formante

Per fronteggiare tale fenomeno dilagante, è importante chiamare in causa i modelli culturali diffusi che favoriscono comportamenti anti-sociali tra gli adolescenti. L’abitudine prolungata ad assistere a scene di violenza, non sanzionate e capaci di produrre vantaggi sociali quali successo, prestigio e rispetto, contribuisce ad allentare i freni inibitori e favorisce l’adozione di comportamenti similari come risposta semplificata in situazioni di conflitto.

La diffusa valorizzazione dell’azzardo per il profitto e della competitività esasperata per emergere, predispone all’affermazione della propria identità minacciata dalla presenza degli altri attraverso forme di prevaricazione senza controllo.

Infine, la violenza quotidiana sembra sempre più assumere il significato magico di affermazione della propria pseudo-virilità, coinvolgendo la delicata questione dell’identità di genere, quasi che il comportamento violento fosse l’attributo dello stereotipo maschile arcaico. «In questo i ragazzi violenti sono lo specchio del mondo degli adulti» (Walgrave).

Questo coinvolge la responsabilità degli adulti che non riescono a porre l’aggressività a servizio dell’assunzione di responsabilità e della protezione dei deboli. Ciò si traduce in un silenzio comunicativo tra generazioni, indice di una diffusa incapacità di offrire rappresentazioni mentali di un’identità adulta non competitiva e di modelli di convivenza non-violenta. Al silenzio si accompagna poi il rumore confusivo sensazionalistico e spettacolarizzato che caratterizza il contesto culturale nel quale sono sistematicamente assenti aspetti formativi ed etici. 

Le parole per la responsabilità

Educare al superamento della violenza significa, invece, educare a “dare parola all’esistente”, a riscoprire tra silenzio e rumore l’inadeguatezza della rottura violenta e l’efficacia della parola autentica che non solo comunica, ma costituisce il modo propriamente umano di essere al mondo (Heidegger).

Riscoprendo il linguaggio come dimora dell’essere, cioè luogo in cui le cose giungono all’esistenza, s’intravede una strada alternativa per passare dall’atto opaco non mentalizzato tipico della violenza al senso responsabile dell’agire, riappropriandosi di parole  originarie del nostro essere al mondo: io-tu-noi.

I protagonisti del bullismo devono essere aiutati a creare dei ponti che permettano la comunicazione tra il loro mondo interiore e il mondo reale. E per questo si richiede l’intervento di adulti che osservino e comprendano le loro difficoltà senza giustificarle superficialmente, instaurando un dialogo aperto che illumini di senso e di responsabilità le azioni trasgressive, per sostenere e orientare eticamente i processi d’integrazione affettiva.

Per favorire questo è indispensabile offrire ai giovani abilità specifiche che permettano di accorgersi di quanto sta accadendo, di valutarlo come “emergenza”, di decidere quali responsabilità assumersi per intervenire, di individuare quale tipo di intervento è adatto alla situazione e di scegliere di attuarlo effettivamente, in ambienti che neghino ogni legittimità alla logica della sopraffazione, proponendo uno stile relazionale alternativo improntato a cooperazione, solidarietà e reciprocità.

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