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Moralia Blog

Lo “spirito” sempreverde del nuovo capitalismo

Nel mese di aprile una nota azienda informatica aprirà ufficialmente un nuovo campus per i suoi dipendenti, in grado di accogliere oltre 12.000 persone, costruito e organizzato grazie alle più moderne tecnologie e gestito solo grazie ad energie rinnovabili. Impressionante: per magnitudine e complessità funzionale.

Il campus è stato ideato non soltanto per fornire spazi di lavoro adeguati e strumenti efficaci di ricerca e sviluppo, ma anche per garantire l’integrazione ambientale e la sostenibilità. Altrettanto interessanti e creative sono le strutture ideate per facilitare i lavoratori e garantire loro molti benefici “extra”: palestra, auditorium, parcheggi sotterranei, area museale, piste ciclabili e biciclette, percorsi per jogging e passeggiate, ma anche bar, ristoranti, sale riunione e aree riservate per coloro che volessero incontrarsi all’aperto e in ambienti più piacevoli delle stanze d’ufficio, quasi tutte, comunque, caratterizzate da vetrate con vista sul parco circostante, dove saranno piantati 3.000 alberi: insomma, apparentemente tutto o quasi tutto ciò che una persona desidererebbe trovare, in un luogo dove finisce per trascorrere almeno un terzo della sua giornata. 

Gli investimenti sbagliati

Ora occorre riconoscere che l’azienda di cui sopra – che è solo un esempio tra altri – grazie alle pionieristiche innovazioni dei suoi fondatori, ha contribuito a migliorare la qualità della vita dell’uomo moderno. È pure apprezzabile che nella costruzione di un nuovo campus abbia voluto assicurare attenzione agli elementi “immateriali” della vita dei suoi dipendenti, cercando di favorire, tra l’altro, l’interazione con l’ambiente, la bellezza architettonica, nonché il relax e la socialità.

Ma è legittimo chiedersi: non sarà che così facendo la vita aziendale finisca per occupare nella sua totalità la vita della persona, riempiendo ogni spazio dell’esistenza? Nel tentativo di rispondere ai molteplici bisogni dei suoi dipendenti, non sarà forse che l’azienda tenda ad uniformare quei bisogni, fomentando l’illusione di poterli pienamente soddisfare? Nella prospettiva weberiana, lo “spirito” d’intrapresa era alimentato dal desiderio profondo dell’imprenditore “predestinato” di provare, attraverso il successo nel lavoro e l’accumulazione del capitale hic et nunc, la sua appartenenza al gruppo degli “eletti” che avrebbero poi ottenuto la salvezza eterna.

Oggi le aziende, che spesso vivono di vita propria rispetto a quella dell’imprenditore, perseguono il successo attingendo ancora ai desideri profondi dei propri dipendenti e dirigenti, alla loro naturale “ricerca della felicità”, ma aprendo pure tutta una serie di “crediti emotivi” – come li definisce Bruni (2015) – ovvero di aspettative professionali, psicologiche, affettive, e perché no, spirituali, che poi difficilmente potranno garantire.

L’altro “spirito”

Allora è positivo che accanto a chi apre nuovi campus tecnologici faccia altrettanto notizia chi decide di impiegare una donna al nono mese di gravidanza, perché pur attingendo a interiori motivazioni di autorealizzazione per migliorare la propria produttività, sa riconoscere la specificità dei talenti ed è disposto ad investire anche su altri spazi (più) preziosi della persona: l’amicizia, la famiglia, la maternità e la paternità.

Spazi reali e non virtuali, che coinvolgono la quotidianità con le sue particolari esigenze, le aspirazioni e le fatiche, le conquiste e i compromessi, le priorità e le rinunce. Spazi sacri che non solo proteggono e promuovono la dimensione soggettiva del lavoro, inteso “per l'uomo” e non per la sua strumentalizzazione, ma preservano anche dalla manipolazione esterna la sfera più intima e misteriosa dell’individuo: quella della sua unicità, dominata da un altro “spirito” che non si esaurisce nell’attività professionale, ma è parte integrante del suo essere persona, ne anima la «vita buona», ne realizza la natura sociale, gli consente di penetrare nella struttura più profonda della realtà e, nella sua “ricerca della felicità”, lo mantiene aperto alla trascendenza.

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