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Moralia Blog

Pulizie di primavera: liberarsi del “dio Lamento”


“Voglio dimenticare il mio lamento,

deporre quest’aria triste e rasserenarmi” (Gb 9,27)

 

Siamo nel Tempo di Pasqua, periodo che liturgicamente dura 50 giorni, come a dire: sette volte sette giorni – oppure una settimana di settimane – con un giorno in più, un domani. Siamo quindi nel tempo della gioia, del trionfo della risurrezione, dell’apertura eterna al mistero di Cristo, della fede postpasquale che sa cogliere e integrare la ricchezza della fede prepasquale. Della Grazia.

Eppure un certo idolo che veneriamo, singolarmente e come comunità, può impedirci di cogliere il senso pieno di questo tempo: il dio Lamento.

Iniziamo presto al mattino celebrare il culto del dio Lamento: invochiamo il dio Lamento partendo dalla sveglia che suona, alla giornata che ci attende, alla pioggia se c’è la pioggia o al sole se c’è il sole… e così via, fino al sonno.

Tutta la nostra giornata è scandita dal rito del lamento, da una litania al nostro Idolo. Non c’è ambito che non venga travolto e coinvolto: la politica, l’inquinamento, il coniuge, il lavoro, lo sport, i mezzi pubblici… E non paghi di lamentarci su tutto, creiamo proseliti, coinvolgendo gli altri, di persona o sui social, nella nostra supplica. Fossimo così accorti nel coinvolgere la nostra fede anche in ogni ambito del vivere umano!

Lamento come stile di vita

Ovvio che sto parlando del lamento come stile di vita e non dello sfogo dopo un momento difficile, una disillusione, un’ingiustizia (sociale o personale), un momento di debolezza. Sto parlando di quel dio Lamento che ci fa indugiare in dettagli (impedendoci di vedere la trama complessa della realtà), che ci compiace, che ci appaga.

Il dio Lamento è realmente un idolo subdolo che ci impedisce di vivere cristianamente, che ci acceca di fronte al volto del Dio vivente. Il dio Lamento paralizza lentamente la nostra riflessione e il nostro vivere etico perché ci presenta il male come male ineluttabile, che ci sovrasta, impersonale. E se 1Cor 12,2 ci ricorda di non lasciarsi trascinare dagli “idoli muti”, è bene ricordare che il dio Lamento ci rende non solo muti, ma anche ciechi e sordi.

Ciechi, sordi e muti

 1. Il dio Lamento ci rende ciechi perché appiattisce tutto il tempo, nostro e della storia, nella visione del Chronos e ci impedisce di viverlo come Kairos. Peccato che il Kronos stritoli quello che egli stesso genera, mentre il Kairos è il tempo propizio, il tempo di Dio, il tempo che ci fa vivere e gustare con occhi nuovi l’esperienza di Chronos.

2. Il dio Lamento, appiattendoci su un male impersonale, ci rende sordi perché impedisce di assumerci le nostre responsabilità e quindi ci rende indifferenti alla dialettica vocazionale di chiamata e risposta, responsoriale, centrale nel messaggio cristiano (ma anche ebraico).

3. Infine il dio Lamento ci rende muti perché ci introduce in una dinamica profondamente anti-Eucaristica. Innanzi tutto perché è chiaro come ci impedisca di dire “grazie”, di accorgerci della gratuità in cui siamo totalmente immersi, di cogliere il bello che è intorno a noi. E poi perché nega profondamente la Presenza Reale di Gesù Cristo dichiarando, implicitamente, la presenza reale del male o quanto meno della noia, dell’inutile.

Voltarsi a ricercare il Dio vivente

Il dio Lamento non è un dio distratto. Al contrario: sa bene come conquistare sempre più spazio nella nostra vita, sa bene come intrufolarsi nei nostri pensieri, sa bene come condizionare le nostre abitudini e soprattutto la nostra riflessione etica e il nostro agire.

Ma è anche un dio permaloso: se non lo si compiace, se gli si girano le spalle, se si interrompe il suo culto, egli cerca nuovi adepti, nuovi adoratori. E i nostri occhi, bocche e orecchi potranno nuovamente mettersi in cerca, grata e attenta, del Dio vivente.

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