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Moralia Dialoghi

Promuovere: una sfida complessa

Il breve ma denso Messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato trova la sua spina dorsale nei quattro verbi che lo articolano, dopo la breve introduzione, che segnala due criteri teologici per leggere la vicenda dei migranti, quello dei “segni dei tempi” e quello dell’identificazione del migrante che bussa alla nostra porta con Cristo stesso. I quattro verbi sono: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Se letti in relazione essi costituiscono un vero e proprio climax ascendente, che indica un crescente impegno e coinvolgimento da parte delle comunità cristiane, chiamate a riconoscere nei rifugiati non solo una provocazione etica, ma una vera e propria occasione teologica, in linea con l'apocalisse del capitolo 25 di Matteo.

In questo movimento di crescita e passaggio continuo, ci soffermiamo sul terzo verbo: promuovere.

La partecipazione attiva dell’altro al percorso verso l'integrazione

Dobbiamo osservare che esso sorge, quasi spontaneamente, dalla successione dei due precedenti: l'accoglienza e la protezione offerta ai migranti si rivelerebbe incompiuta se non portasse alla promozione della loro stessa umanità.

Il verbo promuovere segna, in un certo senso, una svolta nel percorso che papa Francesco immagina, perché se nelle prime due situazioni (accogliere e proteggere) i migranti possono essere visti principalmente come i recettori passivi della carità altrui, qui nel promuovere si segnala l'importanza di una loro partecipazione attiva al percorso che li porterà verso l'integrazione.

L'approccio di papa Francesco alla promozione si segnala per il suo orientamento globale («realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità») e reciproco («tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono»), che segnala il valore riflessivo della promozione, che ricade anche su coloro che se ne fanno attori.

Il messaggio per la giornata dei migranti non esita, poi, a muoversi verso orizzonti concreti:

  • la libertà religiosa, che implica la libertà di pratica del proprio culto;
  • la valorizzazione delle competenze lavorative;
  • la formazione linguistica e quella ad una cittadinanza attiva;
  • l'incentivo al ricongiungimento familiare;
  • le specifiche attenzioni che meritano i minori e i migranti portatori di disabilità.

Infine il terzo paragrafo del messaggio richiama l'esigenza di supportare i paesi in via di sviluppo che accolgono rifugiati e migranti, senza dimenticare le comunità locali che sono soggetto di tale ospitalità.

Promuovere: un verbo dense e complesso

Questa rapida scaletta ci permette di cogliere la densità e complessità del verbo promuovere, che disegna la figura di un migrante che viene aiutato a compiere passi concreti per la rigenerazione della propria umanità, sia in termini materiali (il lavoro, che viene definito dal Messaggio come «destinato ad unire i popoli»), che affettivi (la famiglia «luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori»), che socio-politici (lingua e cittadinanza), che spirituali (la professione e la pratica della propria religione). Promuovere significa quindi creare le condizioni perché il migrante possa avere una vita piena e compiuta, attraverso la quale si rende compartecipe della costruzione della società che lo accoglie, superando, quindi, ogni atteggiamento paternalistico o assistenzialistico nei suoi confronti.

È logico che a questo verbo promuovere, faccia quindi seguito, come ultima tappa del percorso ideale, il verbo integrare.

A questo punto non solo la mappa dei valori è chiara, ma anche l'orizzonte pratico entro cui si colloca la promozione dei migranti e dei rifugiati secondo papa Francesco, un orizzonte lineare e allo stesso tempo ricco di suggestioni e proposte concrete.

Misurare la distanza

Che considerazioni possiamo trarre da questo quadro, che non si limitino ad uno scontato apprezzamento per l'ampiezza di orizzonti del Messaggio papale? Una prima considerazione potrebbe essere definita come un “misurare la distanza”. Papa Francesco propone un modello di promozione ricco di idealità, ma assolutamente non utopico, basato sulla valorizzazione di pratiche e strumenti già esistenti. Che cosa impedisce di farlo diventare un programma di azione?

Forse il lato negativo, se così si può definire, di questa parte del Messaggio è proprio quella di farci percepire come le nostre società Nord-euro-occidentali fatichino a concretizzare prassi di promozione dei migranti e rifugiati, perché faticano a percepire la promozione come un valore, un valore universale non soltanto dedicato a migranti e rifugiati. Se è vero, come lo stesso papa ha più volte ricordato, che nelle nostre società prevale la “cultura dello scarto”, dello scarto antropologico, è chiaro che la promozione dell'umanità dell'essere umano, in particolare di quello marginale, da qualsiasi causa derivi la sua marginalità, non è il valore di riferimento.

Micro-pratiche che contraddicono la “cultura dello scarto”

La seconda considerazione nasce dalla prima, preso atto che promuovere è un verbo che oggi si coniuga più in termini oggettuali (promuovere un prodotto) che antropologici (promuovere la dignità delle persone), come non fermarsi ad una dolente considerazione del fallimento antropologico del nostro stile di vita? Credo che questo sia possibile attraverso quella che definirei una “decostruzione della complessità”, cioè, in termini più semplici, l'individuazione di quelle micro-pratiche che contraddicono concretamente la “cultura dello scarto” e mantengono uno spazio aperto ad autentiche esperienze di promozione umana.

Si tratta cioè di quelle forme di prossimità concreta che muovono in una delle tante direzioni indicate dal Messaggio, la pratica del dialogo interreligioso ed ecumenico, che si apre a forme inedite di ospitalità, i percorsi di inserimento lavorativo per i migranti, che anche alcune pubbliche amministrazioni promuovono, i corsi di italiano offerti da enti pubblici e privati, da movimenti e realtà ecclesiali e non, i corridoi umanitari, che favoriscono l'immigrazione di interi gruppi familiari, per citare solo alcune realtà.

Le comunità cristiane possono offrire, in questa prospettiva, quella testimonianza profetica che fa propria la logica evangelica del lievito chiamato a fermentare la pasta. Una logica che costituisce un potente antidoto contro ogni forma di rassegnazione e pessimismo.

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